Abruzzo: trentaquattrenne perseguitato dalla burocrazia per la sua appassionata vita nei boschi

Il trentaquattrenne Fabrizio Sulli è vive da almeno dieci anni in una casetta tra i boschi nel parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga, nella contrada Rava del comune di Castelli, nel Teramano. Racconta di essere uno che da sempre ha amato la vita tra i boschi, e l’ha realizzata da quando ha 23 anni, dandosi all’orticoltura sostenibile, all’allevamento caprino ed al giardinaggio. Ad un certo punto, si è trovato perquisito dagli agenti, con due accuse: la prima riguardava il fatto che avesse preso un custodia una cinghialetta ferita, che sarebbe reato di “detenzione di fauna selvatica”, anche se lo scopo di Sulli era consegnarla poi ad un centro di cura di fauna selvatica; l’altra accusa riguardava il fatto di aver organizzato un “bagno nella foresta”, un giro nel bosco con un amico con osservazione e meditazione. A questo punto l’imputato ha voluto rifiutare la pena consistente in 300 ore di servizi sociali, dandosi il coraggio di chiedere leggi che tutelino ed incentivino il ritorno alla natura e quelli che lo vogliono praticare attivamente. Infatti, la legge del 1991 ha istituito le riserve naturali che sarebbero intoccabili dalla presenza umana: questa logica riflette un ambientalismo ipocrita, che impone la natura selvaggia senza presenza umana in determinate aree circoscritte ed al contempo tace sull’impatto ambientale violento dei grandi conglomerati urbani. Questo ambientalismo mal concepito paradossalmente finisce per perseguitar proprio chi la natura la ama per davvero e vuole mettere in pratica uno stile di vita ben armonizzato con l’ambiente naturale: se si nega a priori la presenza umana in certe aree finisce che in esse trionfa la natura selvaggia ma al di fuori di esse trionfano l’urbanesimo e l’inquinamento selvaggi. Occorre supportare la proposta del Sulli e proporre una ecologia sociale che valorizzi il ritorno alla vita umana negli ambienti naturali, e con esso l’agricoltura sostenibile e le attività boschive. Ma questo tipo di ecologia sociale ed umanistica dovrebbe scontrarsi frontalmente con il paradigma globalista, esaltando l’agricoltura di prossimità e le economie radicate sui territori in opposizione radicale al sistema economico dominato dalle multinazionali e dai commerci ad ampio raggio senza limiti. Ecco perché esso non fa comodo alle cricche globaliste sovranazionali, che preferiscono promuovere un ambientalismo di facciata che difenda in certe aree circoscritte la natura selvaggia lasciando che al di fuori di esse si diffondano le colate di cemento e si piantino le colture OGM, nel mentre che i governi facciano trattati commerciali che avvantaggino le multinazionali. La cosa riguarda anche varie zone delle aree tropicali o boreali, dove le popolazioni indigene vengono spesso cacciate dalle loro terre con la scusa della tutela della flora e fauna selvatiche, nel mentre che nei conglomerati urbani non molto distanti si promuovono le colate di cemento e l’agricoltura industriale.

Precedente Cavriago: giovane morto investito da un camion, tentano di attribuire la morte al Covid Successivo Treviso: maestra perquisita dai vigili per aver detto agli alunni di non mettere la mascherina